lunedì 4 dicembre 2017

Etiopia 2017 - Giorno 13 - La chiusura del Cerchio

Giornata di viaggio, questa. Siamo di nuovo a Semera. Chiusura di un cerchio.


Lungo viaggio, quello di oggi. Dalle rupi di Gheralta attraverso Tigray e Amhara, fino a quella che era stata la prima tappa del viaggio. E che ora è l'ultima.



Viaggio attraverso le montagne e le grandi pianure fertili tra di esse.
Viaggio tra polvere e boschi di manghi e papaye. 



Viaggio nella vigilia di Timkat, il Battesimo di Gesù. Qui, l'Epifania. Una delle feste più importanti.



Ogni villaggio, un corteo. Ogni corteo, una festa.
Si accompagna l'Arca dell'Alleanza con canti, danze, grida, suoni, colori, verso un luogo d'acqua, luogo di Battesimo.
Un viaggio, anche il suo. Viaggi nel nostro viaggio.



Là, sarà vegliata tutta la notte. Senza sosta. Senza sonno.
All'alba il Battesimo. Del Messia e di tutto il popolo. Poi l'Arca tornerà in chiesa.

Ogni paese, una processione. Bisogna fermarsi. Aspettare. Mescolarsi alla folla. Inebriarsi di colori, stordirsi di canti. Perdersi tra i volti. La testa gira come i danzatori.








Viaggio nei viaggi. Viaggi nel viaggio.


La strada è lunga. Ogni villaggio un corteo. Ogni villaggio un viaggio. Viaggio negli sguardi, viaggio nell'Umanità.






Colori, musica, folla, confusione. Negli occhi.

Ma dentro. Dentro ancora Lei. Dentro ancora la Dancalia. Il caldo che rallenta i movimenti e i penieri. La forza dell'Erta Ale, che ti fa sentire nullità. Il vuoto del deserto e della piana del sale. Gli scherzi di Dallol. Il lago che cammina. Gli Afar che camminano.
Il tempo scandito solo da albe e tramonti.
L'assenza di pensieri. Il vuoto.

E questo viaggio di ritorno. Questo cerchio che si chiude. Lentamente. Come un riemergere, un risvegliarsi. Stiracchiandosi ancora un po' nel dormiveglia.

Il mio mondo sembra ancora così lontano.





mercoledì 22 novembre 2017

Etiopia 2017 - Giorno 12 - Preghiere di roccia

Sono passati molti mesi da quando ho scritto il giorno 11. Ma i viaggi, quelli dentro l'anima, restano in attesa. Aspettano, come gli Afar. Restano dentro di te, pazienti, come la Dancalia. Sanno che ci sarà un momento nel quale tu tornerai da loro.

Gheralta. Ieri sera ho fatto la doccia, dopo molti giorni. Impari che non è scontato farsi la doccia. Sensazione di provare una cosa nuova, quasi mi stupisco dell'acqua che scorre sul mio corpo.....

Il mio orologio biologico ormai si è regolato sull'alba. Il corpo riprende il suo ritmo naturale, ancestrale, di albe e tramonti.
Il buio artificiale della finestra chiusa mi sembra una gabbia.


Ma l'alba che fa arrossire lieve le gote delle montagne lontane mi riporta all'estasi della bellezza.


L'altopiano è il regno dei sicomori, tronchi e radici intrecciate alla roccia e alle vite degli uomini. Alberi che si arrampicano, e uomini e donne che si arrampicano.



Ci si arrampica verso il Cielo, verso i monasteri rupestri. Verso le impervie pareti dell'anima.
Chiese scavate nella roccia, dai monaci, a mani nude.
Donne che salgono e scendono con gli abiti della festa, da luoghi dove noi facciamo fatica a salire in tenuta da trekking.
Loro salgono e scendono, cantano, parlano a voce alta. Sulle schiene portano bambini, e vassoi, e cibo per la festa.



Al monastero si sale all'alba. Attraverso kanyon stretti tra le rocce rosse e la luna.




Un cammino che toglie il respiro.
La pendenza, l'altezza, il vuoto sotto. Il vuoto dentro. L'apnea per la bellezza.


E durante la salita ci si ferma a riposare. E a giocare. Sulla parete.
Perchè la salita è una festa. La vita è una festa.
Il gioco ti fa riprendere fiato, nella salita verso la montagna della vita. E dopo riparti più lieto, e la salita sembra più dolce.


In cima l'uomo ha costruito i suoi rifugi per l'anima, per proteggerla dai predoni, dal male, dall'inganno. Li ha costruiti col sudore e con la sua arte.
Mariam Kerket.



Là salgono le donne a battezzare le vite appena nate. Bianche, quasi trasparenti, creature irreali nella penombra dell'incenso.



Fuori il sole è talmente abbagliante che ti brucia gli occhi, la mente, le mani. Non puoi vedere se non dentro di te. 


E se hai non hai paura del vuoto, se non hai paura di guardare troppo lontano, se non hai paura di sentirti un granello di sabbia attacato a una parete, che il vento può trascinare via in ogni momento, se non hai paura puoi arrivare a Daniel Kerket.




Devi piegarti. Devi chinare la testa per entrare. Devi voltare le spalle al vuoto. Una porticina stretta abbarbicata alla parete. Entrare è come rientrare nel grembo della Terra, nel grembo della Madre.


La Madre senza volto ma con grandi occhi per vedere nel profondo di te.



Poi esci di nuovo nel sole accecante, e con i canti delle donne scendi di nuovo sulla Terra, che ti accoglie quasi con sollievo.



Suonano al vento centinaia di campanelle nelle chiese ortodosse. Accolgono il soffio lieve della tua presenza, festeggiano la bellezza che le circonda, ringraziano la fede semplice della loro gente.



Un altro giorno sull'altopiano. Nel cuore e nell'anima del Tigray.

Tempo di bilanci. La mente corre ancora alla Dancalia, vuoto e pieno assoluti, vuoto in cui galleggiano miraggi che diventano reali, e poi di nuovo svaniscono.
Come la vita un grande spazio vuoto, che si riempie di illusioni. Cerchi di uscirne ma non puoi.
Come il lago Assalè, l'uomo cammina alla ricerca di una via di fuga. Ma non la troverà mai. Non esiste.

Domani il viaggio continuerà. Nella vita e su questo altopiano. 


giovedì 16 marzo 2017

Etiopia 2017 - Giorno 11 - Voci nella notte

Assobole, sul fiume Saba.
Voci nella notte.


Carovane che passano. Cammini, sale, solitudine, cammelli.
Voci nella notte.



Ombre che scendono dal fresco dell'altopiano verso la desolazione del sale.
Altre ombre che risalgono, cariche di sale.

Per un tratto le accompagnamo, all'alba, su per il canyon del fiume Saba. Risaliamo lentamente, a piedi.




Alcune ci superano con passo solo apparentemente lento. I dromedari orgogliosi ci guardano dall'alto. Loro sanno qualcosa che noi non sappiamo.




Altre si riposano all'ombra delle pareti del canyon. I dromedari e gli asini  bevono acqua fresca e mangiano la loro pastura, preparata con cura dai cammellieri.




Gli uomini si preparano la burgutta, il pane duro e non lievitato dei cammellieri, cotto sulla pietra, il loro unico cibo. Duro come la loro vita.


C'è l'acqua nel fiume Saba. Acqua limpida e fresca. Acqua che scorre, come la vita. Ma questa è un'acqua quieta e benevola.
I dromedari bevono, gli uomini si lavano.
Bene prezioso. Gratitudine che sgorga dalla roccia.




E' il giorno della partenza.
Ci lasciamo anche noi alle spalle la Dancalia.
Il sale, la polvere, lo smarrimento.
Il niente.
E risaliamo.
Montagne.
Curve che si dipanano tra le vallate.





Risaliamo.
Si sente come uno strappo. Tra sollievo e strazio.

L'altopiano del Tigray ci apre le sue porte.
Un altro mondo, un altro tempo.
Terra rossa, acacie, sicomori, montagne coperte di verde. Case in pietra. Mi sento quasi "a casa". E' un ritorno a una terra nota, già vissuta, rassicurante.




E' una terra che parla di storia, una terra antica, terra che racconta.
Visitiamo una chiesa rupestre. La fatica dei monaci che hanno scavato nella roccia, la bellezza delle pitture, i colori, i suoni, i canti. Il profumo dell'incenso.
Sembra così lontana, la Dancalia....







Gli uomini nel Tigray strappano cibo dalla terra. Si coltiva, qui. Si semina a primavera, prima delle piogge. Si raccoglie a settembre, la primavera dell'altopiano.
Adesso ancora qualcuno sta battendo il grano. Con i buoi.  Forse i vostri nonni si ricordano come si faceva.....



E poi, succede che qualcuno di notte va col camion e ruba le assi dal ponte.....
Capita. E allora devi tornare indietro, cambiare strada, fare il giro lungo.



 Ma vale la pena di fare i giri lunghi. Perchè la velocità ti priva della bellezza. La velocità ti chiude gli occhi e ti impedisce di vedere. La velocità ti estranea dal mondo. E da te stesso.


Fermarsi ancora una volta davanti a un tramonto. Mai sazi di tanto stupore e tanta bellezza. Tramonto rosso come il fuoco, che incendia le montagne.
Questo ti fa tornare dentro te stesso.