martedì 31 gennaio 2017

Etiopia 2017 - Giorno 6 - L'Occhio magnetico

Nella notte ha soffiato forte il vento, confondendosi con lo scroscìo del vulcano. Voci di questo luogo di Creazione.

Un'altra alba. Questa volta il sole pare nascere dalla caldera dell'Erta Ale.
I nostri piedi di nuovo si muovono. Non hanno pace in questo viaggio, i nostri piedi. Si muovono sulle lave. Prima grigie, solide, vecchie. Poi sempre più giovani, fino alle ultime, di novembre. Sono nere, lucide, fragilissime. Croccanti.
Mi sento pesante, come se prendessi coscienza solo adesso dell'esistenza della forza di gravità. I piedi sprofondano rompendo la crosta. Cosa ci sarà sotto?






C'è un punto magico, dove si incrociano tre colate successive. Abbraccio perfetto di tre generazioni.


Le lave dell'Erta Ale sono dense. Raffreddandosi hanno creato opere d'arte. Nessun uomo, per quanto geniale, è capace di equiparare i virtuosismi della natura.
Da ogni disegno, da ogni forma, si potrebbero raccontare storie. E chissà, forse davvero sono sospinte, tirate, modellate dai folletti che abitano le profondità della Terra. Qui davvero c'è qualcun altro oltre a noi.







Arriviamo alla caldera. Lava inquieta, ondeggiante. Magma che ribolle. Si spacca, si ricompone. Schizza, volteggia, fuma. Rossa e grigia. Si dilata, aprendo voragini veso il centro della Terra, si restringe. Movimento che ipnotizza. E' qualcosa di vivo. Respira. Parla.



Ha una forza magnetica che ti cattura e prova a trascinarti a sè. La sento fortissima. Se non ci fosse il terrore primordiale che ti tiene a distanza, ti avvicineresti così tanto da diventare tu stesso lava. Le forze più potenti della Natura se la giocano in questo posto. E io mi sento la corda del loro tiro alla fune ancestrale. In bilico tra fuoco e aria, tra creazione e distruzione, tra meraviglia e terrore. Tra vita e morte.


Continuiamo a vagare per la grande caldera, di cui il cono nuovo di magma caldo è solo come la pupilla di un grande occhio.
Saliamo su altri piccoli vulcanetti, entriamo in tunnel di lava, esploriamo la superficie incredibile dell'Erta Ale, tra cordoni di lava, capelli di Pele, fessure da cui esce zolfo e gas.
Il terreno sotto di noi è caldo e ipnotico. Il sole in cielo per oggi passa in secondo piano.













Pomeriggio di quiete e "digestione" di tante sensazioni ed immagini. In attesa della notte. La notte dell'Erta Ale. La notte dell'incontro fatale.

Nella mia capanna, accoccolata sullo zaino, scrivo il mio diario di viaggio. Mi tremano le mani, per l'emozione dell'attesa. Meraviglia e paura. Mi accorgo che qualcuno mi fotografa. Non sono me, lì. O forse lo sono profondamente. Sono un'energia in attesa di incontrare un'altra energia. Tremo, come un campo elettrico ad alta tensione.



Leggo un libriccino, "In viaggio con Kapuscinsky", di Andrea Semplici. Parla di viaggio, appunto. Rimarrà tra le pagine del mio diario, e mi accompagnerà in ogni prossimo viaggio. Anche se il viaggio è ogni giorno, ovunque uno sia, lontano (ma lontano da cosa, esattamente?), o dentro casa. Si può viaggiare dentro una stanza della propria casa? Non siamo sempre "vicini", visto che il nostro vero luogo siamo solo noi stessi? Viaggiare è allontanarsi o avvicinarsi? Perdere? Trovare? Ho molte domande. Ma non ho fretta di avere risposte. Attendo. Con pazienza. Qui il tempo non esiste più.




Il sole tramonta, arriva il buio. Si alza la luna, sembra esca dalla lava. Questo si, conta.


Ci mettiamo in cammino, cercando di annullare la gravità.
I bagliori rossi dell'Occhio della Terra ci guidano e ci attirano a sè.


Ci affacciamo al cratere. Col buio della notte è ancora più ipnotico. Il rosso del fuoco è vivo, acceso, come una ferita aperta, come un incendio, come il sangue di un parto. Come il big bang della Creazione. 
Le onde si alzano, urtano con le pareti, schizzano come fuochi d'artificio, si aprono e si richiudono su se stesse.
Magma vivo, che cerca di evadere dalla sua prigione, di abbattere il muro della caldera. Lo farà, nella notte. Ma noi non lo vedremo, i nostri occhi non sono pronti a tanto.





Ipnosi profonda. Ogni tanto serve una pausa di riposo, è stancante questa lotta.


Torniamo al campo, ma ho la sensazione che l'Erta Ale abbia strappato via da me un brandello di pelle.



venerdì 27 gennaio 2017

Etiopia 2017 - Giorno 5 - Passi nella notte, per mano alla luna

Stanotte si è levato il vento. Vento forte, onde nel lago Afrera. Tende che sbattono con violenza.
Sotto di me, la terra calda, di fianco alla sorgente. Sul mattino diventa piacevole.
Prima della luce, arrivano gli Afar a lavarsi nella pozza calda. Voci, risa, chiacchiere. L'acqua è preziosa in questi luoghi di polvere. Ti fa sentire vivo.
L'alba ci sveglia, e porta i nostri passi verso le saline. Tre vasche, l'acqua viene pompata dal lago con le idrovore nella più alta. Poi mese dopo mese viene fatta scendere.
Il sale è di un bianco abbagliante. Sembra una pista di pattinaggio. A tratti si sporca di polvere. Qui tutto si sporca di polvere.




Oggi giornata di attesa. Attesa di permessi, della scorta. E della luna.
Ci appisoliamo al bar del villaggio, ma il cuore già batte forte per quello che ci aspetta stasera.


Giorno di viaggio. Di lungo viaggio nel deserto. D'altronde, l'Erta Ale deve studiarti a lungo prima di permeterti di salire a scoprire il suo segreto. Deve metterti alla prova.
Ti getta nel nulla, ti trascina nella polvere, di travolge con trottole di sabbia che corrono senza meta nella piana vuota.
Ti avvolge di vuoto. Ti fa insabbiare.
La Dancalia è una porta aperta che si chiude alle tue spalle. E non puoi più riaprirla.
Senso di claustrofobia. Mi sento soffocare, non vedo via di uscita. Fatemi uscire! Non c'è via di uscita. Non si può fuggire dalla Dancalia. Ti entra dentro, e non ti lascia più. Nemmeno quando attorno a te c'è di nuovo quel mondo che ti appare familiare.





Sembra che nessuno possa vivere, in questi luoghi-non luoghi. E invece. In mezzo a questo niente apparente, spuntano villaggi Afar. Cos'è questo mondo? E' reale? o è un miraggio? Come si fa a vivere in questo "nulla"?  o forse loro si domandano come facciamo noi a vivere nel nostro "troppo"? O forse non si domandano niente, vivono e basta.
E' assurdo questo? O il mio? o entrambi? Non so dire. Mi sono persa.

Ci fermiamo per pranzare a Karsawat. Ci affittano una capanna. Qui prenderemo anche i dromedari che porteranno i nostri bagagli sull'Erta Ale.
C'è una scuola, a Karsawat. Vuota. Due lavagne appoggiate a terra, un vecchio banco sgangherato. Qualche scritta sui muri.
Poi c'è una clinica. Vuota. O meglio, piena di cianfrusaglie, di rifiuti e di polvere. Nessun medico, nessun infermiere, nessuna medicina. Niente.
In una stanzetta dormono i maestri della scuola. In un angolo, una pila di libri appoggiati su un secchio, e due cellulari in carica. Li sento come un corpo estraneo. Quasi come un tumore fastidioso e mortale. Una violenza.




Ancora sabbia. Ancora lava.
Fino al "parcheggio" ai piedi dell'Erta Ale. L'Erta Ale? Cos'è? una collinetta grigia. Senza poesia, senza bellezza. Un mucchietto di sassi senza emozione. Messa li, in mezzo a una piana sconfinata di lava. Ha dei compagni intorno, alti e fieri. Una punta di delusione.



Aspettiamo la notte. Ceniamo. I dromedari che porteranno i nostri bagagli ci guardano pazienti. Devono sapere qualcosa che noi non sappiamo. E lo sanno, che noi non lo sappiamo.





Arriva il buio. La notte. E con lui la luna. Piena. Enorme. Luminosissima, guida i nostri passi incerti prima nella sabbia, poi sulla lava. Ti fa vedere cose che di giorno non vedresti.
Il nostro cammino è lento. Qualcuno è in difficiltà, proseguirà sul dorso dondolante di un dromedario.
L'Erta Ale sembra allontanarsi man mano che camminiamo. Arriveremo? dov'è realmente? non sappiamo. Intanto ci guardano passare i Guardiani dell'Erta Ale. Vulcanetti che hanno provato a diventare grandi, ma che si sono fermati li, sul nostro sentiero.
Camminiamo. In silenzio. Passi diversi, chissà cosa c'è nella mente dei miei compagni di cammino.
Nella mia c'è vuoto. Stupore. Fatica. Bellezza. Groviglio di emozioni. Assenza di emozioni.



Il cammino è lungo, la stanchezza si fa sentire. Non si vede la méta, sembra inesistente. Ma dobbiamo andare.
Nella luna, intravediamo delle capanne di pietre. Siamo arrivati? e il vulcano, dov'è?
E' nascosto, l'Erta Ale. Gioca a nascondino. Mette alla prova. Devi volerlo davvero, l'Erta Ale. Ai deboli non si mostra.
Devi salire, non lasciarti ingannare dall'apparenza, non fermarti alla capanna, devi affacciarti appena di là.
Apnea. Lo spettacolo toglie il fiato. Toglie i pensieri. Toglie tutto.
Ipnosi perfetta. Presenza viva. Fontane e bagliori rossi nella notte. Lava che ribolle, mugghia, schizza verso l'alto, come se volesse mettere altre stelle nel cielo.




Le parole non hanno più senso, quassù. Solo il silenzio ha senso. E tutto l'essere proteso verso questa forza indicibile.
Ti annulla, ti attrae a sè, ti lascia vacillante tra la pura gioia originaria della Creazione e il terrore primordiale.


giovedì 26 gennaio 2017

Etiopia 2017 - Giorno 4 - Miraggi

Viaggio di albe e tramonti, questo. Lo scandire del tempo cambia. Gli orologi scivolano via dai polsi, non hanno più alcun senso, qui.
L'alba mi apre gli occhi quasi con violenza. L'alba africana è repentina, non ti lascia li a stiracchiarti. Ci pensa il profumo dolce del caffè appena tostato a coccolarti un po'.
E allora ti alzi, e sotto di te vedi scorrere l'Awash, brulicante di vita. Respiro profondo.




La colazione tra le pareti azzurre del Basha Hotel ha qualcosa di poetico. Si confondono col cielo e con la vegetazione. Bellezza pura, originaria.
Mi sento quasi a casa in questo posto. 




Ma il mondo ci attende e dobbiamo uscire. Ci incamminiamo per il mercato, l'ultimo mercato di questo viaggio, un altro bagno di umanità prima di calarci nel sale e nella polvere.
E' colorata, Assayta, come l'hotel. Sembra allegra, fremente.



 

 Passiamo davanti alla moschea, con uno strano minareto verde. Progettato da un italiano, dicono.





E l'ufficio postale.... Inviare lettere dagli estremi confini dell'umanità.


E' bello il mercato di Assayta. Forse il più bello de tre. Un babbo ha creato ua carrozza per il suo bambino: un bidone giallo legato con una corda. Il bimbo seduto sopra al bidone, il babbo che lo traina in viaggi fantastici. 



Visi, colori. Sorrisi perplessi quando riporti loro una foto di incontri passati. E' bello osservare quegli sguardi, le fogge di abbigliamento che raccontano storie. Qua si impara la bellezza della diversità. 






E' un mercato ordinato quello di Assayta, tranquillo, quasi pacato. Donne siedono tra montagne di peperoncini e di cipolle. 
I colori dell'hennè e delle spezie, il sale, di cui tra qualche giorno andremo a vedere la nascita, panchetti di pelle di capra, e poi stuoie intrecciate a mano, letti tradizionali, stoviglie di terracotta, e il venditore di ferraglia. Compro due coltelli a forma di falce, ma la lama è nella parte esterna. Serve per tritare cipolle e pomodori. Suona familiare, mi ricorda la mezzaluna. E dei lunghi chiodi con la capocchia a spirale. Tutto fatto rigorosamente a mano. 







Lasciamo Assayta con un filo di nostalgia. 
I miraggi ci accompagnano nel deserto. Un lago si apre davanti al nostro orizzonte. C'è un'isola, e una grande distesa di acqua. Ma fugge, non vuole concedersi. Il nostro cammino ci porta verso un lago, ma ancora non è quello. 
Chissà se anche le gazzelle e gli struzzi sono dei miraggi. E quegli uomini?






Il pranzo è a Sixties, Sessanta. Un bar di legno e stuoie tenute insieme da chiodi infilati in tappini della Coca cola e della birra. Qui si mangia il miglior Tibs d'Etiopia, piccoli pezzetti di carne fritta e condita.  Intorno, montagne rosse. Ci fa compagnia un bellissimo gallo e un capretto appena nato. Ci attardiamo un po', la Dancalia di inietta nel sangue una calma di cui non ti credevi capace.


Arriva il tramonto, sul deserto. Non te lo aspetti, ma arriva. E nemmeno ti aspetti, al di là della strada, di trovarti davanti al lago. Vacilli, non sai se è di nuovo un miraggio. Ma questo no, questo è di acqua vera. Salata, ma vera. 
Il lago Afrera, o lago Giulietti. Rosa le saline nel tramonto. Il nostro campo ci aspetta, sulle rive del lago. La luna, le palme. Il lago talmente salato che si galleggia stando seduti. Accanto una pozza d'acqua dolce a 50°C, dove togliersi il sale. 
Nella polvere impari la gratitudine.