martedì 24 gennaio 2017

Etiopia 2017- Giorno 3 - I colori del commercio

Giorno di mercato, oggi. Del mercato più grande del Corno d'Africa. E' diviso in due sezioni, il mercato degli animali, e tutto il resto. Sono distanti l'uno dall'altro, separati ma sempre un tutt'uno. Ognuno una spianata dedicata, ognuno un suo ordine e sue regole.

Il mercato degli animali è immenso, disordinato e al contempo perfettamente ordinato. I commercianti viaggiano, acquistano gli animali dai pastori, nei mercati più remoti, spesso aspettando che si chiuda la giornata, che gli animali siano stremati dal sole e dal caldo, e che i pastori siano costretti a venderli a basso prezzo perchè sanno che non ce la farebbero a tornare a casa.
Poi salgono qui, portano animali belli e in splendida forma. Vengono da tutta l'Etiopia, a questo mercato.










Esco un po' stordita. A lenti passi, come per digerire un po' prima della portata successiva, ci incamminiamo verso l'altro mercato.
Passiamo a trovare Omar, mercante di chat, di ottima qualità, dicono. Ne assaggio una foglia, è amaro, come la vita dei pastori nomadi nel deserto.
Qui lo masticano in tanti, per non masticare la polvere, per non pensare alla fatica di vivere in questi luoghi di "nulla".






Ci perdiamo nel mercato. Colori, di ogni genere. Odori. Visi diversi, acconciature cone sculture, abiti che parlano storie e lingue di tutta l'Etiopia, persone che cercano qualcosa di importante. Dall'alto di una torretta possiamo stendere l'occhio su tutta questa folla immensa. Sguardi penetranti valutano le merci. Si discute, si tratta, si offre di tutto. Legname, canna da zucchero, uova, pomodori, cipolle, peperoncini freschi, spezie, caffè, teff, grano, legumi, mais, stuoie, carbone, papaie, arance, secchi di plastica cinesi, stoviglie, mobili, letti, bottiglie di plastica e barattoli usati, galline, pelli di capra, gebenà (caffettiere di terracotta), chat. Macedonia ordinata, dove ogni prodotto ha una sua zona dedicata.
Si cerca moglie. Si notano i giovani in cerca di moglie. I capelli lunghi, eleganti, puliti, con lo sguardo alto e spavaldo. Scrutano e studiano. Scelgono.
Ci si incontra tra conoscenti e amici, si parla, si offre un caffè tradizionale.
E' un mondo a sè, il mercato. Ci si viene una volta a settimana, un appuntamento importante, perchè qui scorre la vita.








L'occhio adesso ha bisogno di riposo. Ha visto, a scrutato, ha cercado di carpire pezzi di vita.
Si chiudono lentamente, gli occhi, in macchina, mentre si scende. Si scende. Fino al fondo. Ci caliamo in piena regione Afar. La Dancalia. Il regno del "nulla". Della polvere, della calura. Della natura che arriva ai suoi limiti estremi. Dell'uomo che riesce a passare oltre i suoi limiti estremi, e non capisci come. Ma lo fa. E sopravvive.

Passiamo da Semera, città strana, scheletri di palazzi in costruzione, fuori luogo. Sparsi. Polvere. Poca gente. Città artificialmente importante, sulla strada per Gibuti. Un ufficio della Cooperazione italiana. Anche quello, vuoto come la città, eppure attivo.
Luogo di passaggio, di camion, specchio di una Dancalia che sta cambiando.


Ce lo lasciamo alle spalle questo luogo che cerca di essere una città ma non ci riesce. Ci addentriamo nella piana sconfinata. La nostra destinazione è Assayta, sul fiume Awash. Ma per arrivarci, devi proprio volerlo. Chilometri di "niente". Polvere, sabbia. E "deserto verde". Distese di Prosopis juliflora, un arbusto originario del Sud America, diffuso in Africa con intenti di rimboschimento. Il più grande danno ambientale prodotto dalla FAO. Infestante, difficile da sradicare, spinosa, tossica, inutile, anzi dannosa, sotto ogni punto di vista. Ricopre il terreno, sotto non cresce niente. Gli animali non la mangiano. Weyane, la chiamano qui, con disprezzo.

Ma anche nel "niente" ci può essere il "tutto". E' abitato, il "niente". Gazzelle, babbuini, iene. C'è vita nel "niente".



E poi c'è Lui, il tramonto d'Africa. E Lui, davvero, è il "tutto".




Stanotte dormiremo su letti di legno locali, sulla terrazza del Basha Hotel di Assayta, sul fiume Awash. Sopra di noi solo le stelle, così fitte che non ci sarebbe più spazio, in cielo, per metterne un'altra. Sotto di noi, le pareti azzurre dell'albergo.
In lontananza, le iene ululano alla vita.
Questo luogo mi commuove. 

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