giovedì 26 gennaio 2017

Etiopia 2017 - Giorno 4 - Miraggi

Viaggio di albe e tramonti, questo. Lo scandire del tempo cambia. Gli orologi scivolano via dai polsi, non hanno più alcun senso, qui.
L'alba mi apre gli occhi quasi con violenza. L'alba africana è repentina, non ti lascia li a stiracchiarti. Ci pensa il profumo dolce del caffè appena tostato a coccolarti un po'.
E allora ti alzi, e sotto di te vedi scorrere l'Awash, brulicante di vita. Respiro profondo.




La colazione tra le pareti azzurre del Basha Hotel ha qualcosa di poetico. Si confondono col cielo e con la vegetazione. Bellezza pura, originaria.
Mi sento quasi a casa in questo posto. 




Ma il mondo ci attende e dobbiamo uscire. Ci incamminiamo per il mercato, l'ultimo mercato di questo viaggio, un altro bagno di umanità prima di calarci nel sale e nella polvere.
E' colorata, Assayta, come l'hotel. Sembra allegra, fremente.



 

 Passiamo davanti alla moschea, con uno strano minareto verde. Progettato da un italiano, dicono.





E l'ufficio postale.... Inviare lettere dagli estremi confini dell'umanità.


E' bello il mercato di Assayta. Forse il più bello de tre. Un babbo ha creato ua carrozza per il suo bambino: un bidone giallo legato con una corda. Il bimbo seduto sopra al bidone, il babbo che lo traina in viaggi fantastici. 



Visi, colori. Sorrisi perplessi quando riporti loro una foto di incontri passati. E' bello osservare quegli sguardi, le fogge di abbigliamento che raccontano storie. Qua si impara la bellezza della diversità. 






E' un mercato ordinato quello di Assayta, tranquillo, quasi pacato. Donne siedono tra montagne di peperoncini e di cipolle. 
I colori dell'hennè e delle spezie, il sale, di cui tra qualche giorno andremo a vedere la nascita, panchetti di pelle di capra, e poi stuoie intrecciate a mano, letti tradizionali, stoviglie di terracotta, e il venditore di ferraglia. Compro due coltelli a forma di falce, ma la lama è nella parte esterna. Serve per tritare cipolle e pomodori. Suona familiare, mi ricorda la mezzaluna. E dei lunghi chiodi con la capocchia a spirale. Tutto fatto rigorosamente a mano. 







Lasciamo Assayta con un filo di nostalgia. 
I miraggi ci accompagnano nel deserto. Un lago si apre davanti al nostro orizzonte. C'è un'isola, e una grande distesa di acqua. Ma fugge, non vuole concedersi. Il nostro cammino ci porta verso un lago, ma ancora non è quello. 
Chissà se anche le gazzelle e gli struzzi sono dei miraggi. E quegli uomini?






Il pranzo è a Sixties, Sessanta. Un bar di legno e stuoie tenute insieme da chiodi infilati in tappini della Coca cola e della birra. Qui si mangia il miglior Tibs d'Etiopia, piccoli pezzetti di carne fritta e condita.  Intorno, montagne rosse. Ci fa compagnia un bellissimo gallo e un capretto appena nato. Ci attardiamo un po', la Dancalia di inietta nel sangue una calma di cui non ti credevi capace.


Arriva il tramonto, sul deserto. Non te lo aspetti, ma arriva. E nemmeno ti aspetti, al di là della strada, di trovarti davanti al lago. Vacilli, non sai se è di nuovo un miraggio. Ma questo no, questo è di acqua vera. Salata, ma vera. 
Il lago Afrera, o lago Giulietti. Rosa le saline nel tramonto. Il nostro campo ci aspetta, sulle rive del lago. La luna, le palme. Il lago talmente salato che si galleggia stando seduti. Accanto una pozza d'acqua dolce a 50°C, dove togliersi il sale. 
Nella polvere impari la gratitudine.








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